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Cornici vuote

“Cornici vuote” rappresenta l’esordio della giovane poetessa  Stefania Invidia e, sin dai primi versi, rivela un tratto stilistico interessante. Pur avendo una semplicità espressiva che rende le liriche facilmente recepibili, nello stesso tempo dà prova di una straordinaria padronanza, per la giovane età, di un linguaggio esatto, severo a tratti e semanticamente appropriato che sottolinea e acuisce l’efficacia e la profondità evocativa dell’assunto. Stefania esprime sentimenti allo stato puro ed un’interiorità ricca che si svela sin dalle prime liriche della raccolta: “…in questo errare la mia penitenza…”. Ha deciso di confrontarsi col mondo poetico e quando esordisce: “…chiamateci visionari, sempre, ovunque chiamateci poeti”, ha stabilito già di voler percorrere un “viaggio simbolico” all’interno dei sentimenti e delle emozioni che “travagliano” tutti gli uomini nella loro realtà esistenziale e, attraverso la poesia, ha trovato la forza di liberarsi e farsi ascoltare. Si percepiscono, nei suoi versi, note di tristezza dinanzi al quotidiano ripetersi di malvagità che si amplificano nell’estenuante “…tamburo dell’estrema guerra… “in “Tum tum tum  tum”, ricca di efficaci metafore e personificazioni audacemente espresse nel verso: “Respirano i tamburi nella terra” e nello stesso tempo “presa in carico” dei perigliosi ostacoli di questo viaggio terreno nelle pressanti anafore della lirica “Camminerò” che si distendono nella chiusa: “…imparerò ad amare…”.

Il tema del percorso esistenziale, nella metafora del cammino o dell’errabonda ricerca di una strada (in “Soliloquio”), si mette a confronto con un mondo che, in apparenza ostile, presenta inaspettatamente dei connotati positivi nel confronto con una natura circostante che quasi partecipa attivamente all’evoluzione progressiva dell’acquisizione della consapevolezza esistenziale dell’autrice. Natura che esplode nella lirica “Estate” dove pare di vedere, come in un dipinto impressionista, la calda luce del mezzogiorno nelle campagne o in riva al mare oppure  nella mite “L’ultimo tepido sol” che disperde i raggi estivi nelle campagne inondate da grappoli d’uva pregna e profumata, matura e pronta per la festa antica. Natura ricorrente, dunque, natura che rinfranca l’uomo stanco di guerre e di dolori, natura che nella lirica “Primavera” si rigenera e si riveste di speranza, attraverso cromatici versi e profumi di gelsomini in fiore.

Ma la poesia di Stefania non è soltanto un palesare i pensieri che costituiscono le fondamenta fragili di ogni vita umana; alcuni componimenti riescono a far vibrare le giuste corde dell’emozione quando affermano: “…e non sono più sola nel dissacrante silenzio di queste mie stanze vuote”.

La silloge “Cornici vuote” racchiude una grande profondità di pensiero e, quindi, di riflesso, di contenuto. Lo stesso titolo, dal sapore vagamente allegorico, colpisce il lettore che, dopo un’attenta e approfondita lettura, giunge alla conclusione che le “cornici” son ben lungi dal rimanere “vuote” perché degni versi possono riempirle e  colorarle di suggestioni, immagini e stati d’animo, ritagli di vita che rappresentano le emozioni che tutti, prima o poi, abbiamo provato ma che, forse, non siamo riusciti ad esprimere.

Silloge poetica, dunque, scritta con  delicatezza espressiva e, nello stesso tempo, con un’intensità di sentimento poco comune e che mi induce a concludere citando le parole di Maria Carmen Lama nel suo saggio “Verso la poesia alla ricerca di senso”, (ed. Aletti, 2010): “Il poeta non sa e non può autodefinirsi, perché egli trova ciò che non ha cercato, ed è come perso nella luce, nella bellezza, nelle cose che vivono dentro di sé”.

 

Maria Rosaria Teni

 

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