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L’arte della carta nel Salento

È quasi provvidenziale che questo nuovo lavoro di Mario De Marco venga pubblicato nello stesso momento in cui, per la prima volta nella storia, si apre a Lecce un Museo della Stampa: la finalità è quella di illustrare, soprattutto alle giovani generazioni, il trascorso di quella nobile arte che, dalla seconda metà del ‘400 alle soglie del terzo millennio, ha conservato pressoché inalterate le sue caratteristiche, agevolando la comunicazione e di conseguenza il progresso dell’umanità. Con il tramonto della “galassia Gutemberg” e l’avvento di nuove tecnologie, si è aperta una querelle attualissima sul futuro della stampa e sul destino del libro stesso, che vede coinvolti un po’ tutti gli operatori di cultura. Chi guarda al passato giura sulla sua lunga durata mentre gli entusiasti della modernità ne prevedono una scomparsa quasi totale.

Ecco allora, lo dico consapevolmente perché sono coinvolto anch’io in prima persona, la sua opportunità ed utilità: permette infatti, anche ai non addetti ai lavori, di farsi un’idea dell’importanza dell’argomento ed offre al contempo un quadro chiaro e sintetico di oltre cinque secoli di storia. Solo percorrendo le principali tappe del lungo e laborioso cammino, allargando l’orizzonte all’Italia e soffermandosi sulla Puglia e sul Salento, ci si può avvicinare al pensiero dell’autore e condividere con lui quel sentimento di viva nostalgia che ne attraversa le pagine: il fascino delle antiche tipografie, il profumo del piombo e dell’inchiostro, la complicità che legava quanti lavoravano devotamente intorno al libro: il “c’era una volta” che ricopre di  una patina dolce quanto non è più possibile rivivere, la sensazione del tempo che passa.

È chiaro insomma che De Marco, anche se non può rinnegare quanto sta accadendo, parteggia per la stampa a caratteri mobili, quella che lasciava le mani sporche ai correttori di bozze, ma conferiva al libro una sua regalità, oggi irrecuperabile, e direi quasi un sapore ed anche un odore che solo qualche prodotto artigianale riesce ancora a conservare.

Il libro risulta diviso nettamente in due parti: nella prima sono esposte le origini e i rapidi successi, si prende in considerazione il ruolo dei tipografi-autori ebrei, si sottolinea il primato della leadership ecclesiastica (specialmente nel ‘700 leccese, ma il fenomeno può essere applicato correttamente anche ad altri territori), si elencano i protagonisti e le opere principali. Nella seconda l’attenzione va alla legatoria, arte anch’essa di nobili tradizioni, forse sottovalutata, ma di cui il libro non ha mai ovviamente potuto fare a meno: qui l’aspetto tecnico prevale e lo stile si fa descrittivo ed essenziale perché ci si possa rendere conto, transitando dalla storia all’attività, dell’impegno richiesto da questa forma di raffinata manualità artigianale. Se si pensa a Vittorio Scotti e ai suoi Cenni storici intorno alla legatura datati 1890, riapparsi recentemente dai fondi manoscritti di una biblioteca milanese e subito giudicati un classico, se ne può dedurre che la complessità delle tematiche apparentemente solo marginali nella storia del libro, è stata oggetto di indagine da parte di studiosi sensibili e scrupolosi, che se ne sono occupati con passione e competenza.

E qui l’autore con il suo profilo di Fiorino De Marco ha arricchito di un nuovo interessante titolo la bibliografia sull’argomento, recando un contributo del tutto originale, con un capitolo inedito, ad una futura storia della legatoria salentina. È un vero e proprio “album di famiglia” come egli lo definisce, ripercorso con palese scoramento, ma senza cedere al rischio del sentimentalismo, quasi un elogio di sapore romantico, come romantico doveva essere in effetti il personaggio. Si è ancora nella fase sperimentale, insomma, ma il solco è tracciato. Ora toccherà fare ulteriori ricerche e riempire pazientemente i tasselli vuoti, restituendo identità a questo non secondario aspetto della storia del libro.

Ne risulta un insieme equilibrato e coeso, un manuale in pillole che oltre a fornire un racconto gradevole e sobrio della materia serve a far riflettere sul particolare momento che tutti viviamo. Un atto di fede non gratuito né avventato, ma strategicamente programmato e prudentemente meditato che riporta in primo piano il libro e le problematiche connesse alla sua storia e che, ne sono convinto, non ha bisogno di auguri in quanto saranno gli stessi accattivanti contenuti a decretarne il successo.

Alessandro Laporta

 

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