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Novoli, 16-31 gennaio, personale di Remo Brindisi

Presso il Circolo Professionisti di Novoli, presente l’artista, si è svolta una interessante personale del maestro Remo Brindisi che al folto pubblico è stata illustrata dai professori Ennio Bonea e Lucio Galante dell’Università di Lecce. La mostra organizzata dalla Casa Editrice Il Parametro, comprendeva opere realizzate tra il 1960 e il 1980. Per l’occasione Enzo Rossi-Ròiss ha così scritto in catalogo: “Tanti pittori godono successo critico e agi mercantili con opere che altro non sono se non “mimesi” di topoi formali ampiamente repertorizzati dagli studiosi e proficuamente promossi dai mercanti. Tanti pittori producono opere paghi di essere comprimari “aggettivi”, incapaci di concepire opere idonee a far loro acquisire ruoli “sostantivi”. Tanti pittori, incapaci di assumere in proprio responsabilità poetiche, risultano al servizio di poetiche omologate e al potere. Tanti pittori si limitano a descrivere l’esistente ed illustrare il già noto, anziché espressivizzare l’inespressivo ed emblematizzare l’ineffabile. Tanti pittori dissimulano scarsa creatività e carenze tecnico formali, approssimandosi, su tele e supporti vari, segni immagini e colori, rarefacendo forme e strutture, abbozzando un certo che di “non finito” che soltanto ai più sprovveduti può risultare “opera aperta”, concettualizzando con materiali e azioni eterogenee estetismi improbabili e epigonici. Tra questi tanti pittori non c’è Remo Brindisi e dirò perché. Remo Brindisi, appena pervenuto alla sua personale maturità stilistica ed espressiva, non ha prodotto “santini” ideologizzanti; non ha oleografato situazioni gratificatorie, vicende e biografie illustri, storia e storie ufficiali; non ha privilegiato la decorazione parietale, la bella calligrafia pittorica, chiara e immediatamente comprensibile o decodificabile. Raffigurino Cristo, Venezia, Personaggi Noti, Mussolini & C., i Partigiani, l’Uomo Contemporaneo, le sue opere più significative non riproducono realtà documentate da reportages fotografici, non riscontrano rassomiglianze evidenti. Tanti anni fa, Dino Buzzati, notiziando per il “Corriere dell’Informazione” di Milano una mostra di Renato Guttuso, e riferendosi a certe sue opere di notevoli dimensioni e rimarchevoli ambizioni (Notte a Ghibellina, Portella della Ginestra, Occupazione della terra, Funerale di Togliatti, Assassinio del capolega, etc..) qualificò l’artista siciliano “pittore di ex voto” e con cognizione di causa (come suol dirsi), giacché di ex voto, il Buzzati fu cultore e “facitore” (le sue opere intitolate “I Miracoli della Val More!”, sono un esempio eloquente. Sono un ex voto quelle opre dipinte per ridare e narrare (talvolta enfatizzare) un evento fausto o infausto). Nessuna delle grandi tele dipinte da Remo Brindisi ha caratteristiche formali e compositive tali da farsi considerare opere ex voto. Ciò, però, non è possibile dimostrarlo con l’esposizione di sole opere recenti, così come non è possibile verificarlo visitando una mostra allestita in una galleria privata con opere di modeste dimensioni concepite per il collezionismo privato più diffuso: è possibile accettarlo soltanto in occasione di mostre antologiche organizzate da Musei, oppure sfogliando una delle grandi monografie che illustrano i corpus della sua opera pittorica. Remo Brindisi ha dipinto e continua a dipingere ogni giorno, con o senza genio, convinto che soltanto il continuo esercizio espressivo poteva e può condurre che esprime arte alla creazione di opere significative, valide, durature. Sin dal principio della sua vicenda artistica ha avuto coscienza che il “capolavoro” non è consentito al pittore come al miracolato quotidiano. Perciò se lo è propiziato applicandosi con umiltà e diligenza nella pratica dell’arte e nello studio dell’artisticità, attento a cogliere, ogni volta, e fissare sulla tela il cosiddetto “spirito del tempo”, del suo tempo storico. Il realismo poetico delle opere giovanili, caratterizzate da un impianto formale prevalentemente descrittivo, si è tramutato o evoluto naturalmente in espressionismo rompendo con la narrazione illustrativa. Ragion per cui una figurazione dai viluppi nervosi e scattanti ha preso il sopravvento imponendosi al suo “dipintore” come “cifra” stilistica, come topos iconico. Giorgio Kaisserlian merita di essere indicato come l’esegeta più acuto e intelligente della poetica di Brindisi per il saggio pubblicato a Milano nel 1966 dalle Edizioni della Conchiglia (e divenuto rarità bibliografica) che a tutt’oggi risulta il più esaustivo.

  “Se Brindisi si è dedicato soprattutto alla figura umana - si legge nel testo di Kaisserlian - è per poter meglio individuare il volto segreto dell’uomo di questo tempo, volto che potrà apparirci talvolta quasi cifrato. Ecco perché le sue figure di oggi sono soprattutto delle proposte visive e stimolanti che scaturiscono da un lungo travaglio interiore. Ci pare di capire che esse sono sotterraneamente in movimento, ed è per cogliere l’immagine dell’uomo d’oggi che è uomo in movimento. (…) Il grande merito di Remo Brindisi sta nell’aver attratto il vuoto dell’uomo d’oggi, cioè la sua deficienza, nelle strutture delle sue figure. Il vuoto non sta più attorno ad esse, bensì emana dai loro tratti convulsi e tesi. Il vuoto è il senso della figura. Dobbiamo insistere su questo dato: è il carattere stesso della sua intuizione poetica fondamentale, di un uomo che non sta al suo destino, che avvia le rappresentazioni di Brindisi a figurare dei tipi loschi e lividi (degli arrabbiati, degli invidiosi, delle carogne)”.

Al pittore Remo brindisi è mancato il supporto di certa letteratura critica, per alcuni pregiudizi verso la targa politica (DC) che ha connotato e continua a connotare ideologicamente l’uomo Remo Brindisi. Alla sua pittura laica e trasgressiva per quanto riguarda le forme, i colori, l’iconografia, continua a mancare la stima di quanti da anni agiografano con iperboli critiche treccanerie, guttusaggini et similia. Giorno verrà in cui, tutto ciò che a Brindisi spetta a Brindisi sarà reso e il suo contributo al rinnovamento della figurazione pittorica contemporanea risulterà conveniente evidenziato e distinto, tra i tanti presunti “contributi” di quanto hanno lucrato e lucrano fama e onori perpetuando stilemi tradizionali”.


La Gazzetta della Puglia, marzo 1989

 

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